Non editarmi, ti prego!

 



Mi capita spesso di collaborare con autori reduci da esperienze negative di editing, a volte disastrose, al punto da sviluppare una diffidenza tale che pensano di non averne più bisogno. Questo è un errore, ma comprensibile. Quando scriviamo, tutti, nessuno escluso, anch’io, è bene essere letti da qualcuno che ci dica cosa non va, perché a furia di leggere e rileggere, modificare, riscrivere, correggere, provochiamo piccoli dissesti nel testo che la nostra mente poi non percepirà perché sa di essersi già occupata delle criticità. Chi leggerà quel testo per la prima volta ha invece più probabilità di notarli ed è bene che renda l’autore consapevole della loro esistenza.

Ciò che invece non comprendo è lo scetticismo tout court nei confronti della revisione professionale. Si tratta forse di una forma di gelosia del proprio lavoro? O è paura del giudizio esterno? A prescindere dall’editing che ai fini della pubblicazione rientra nella prassi di ogni casa editrice che si rispetti, di sicuro, al di là del timore di rimetterci dei soldi o di temere che il proprio lavoro venga “stravolto”, presuppone una certa dose di autostima.

Escludendo gli improvvisati, sono molti gli editor sulla piazza, molti quelli competenti e preparati, molti gli empatici, molti anche gli scrittori editor (o editor scrittori? La questione è negli stessi termini del mistero di chi è nato prima, se l’uovo o la gallina). Ebbene, come scegliere quello giusto? L’esperienza mi ha dimostrato che l’unico modo è provare, cercare di conoscere la persona e capire se il metodo di lavoro è in linea con le proprie aspettative, se c’è comunanza di visione, se gli obiettivi sono gli stessi, se c’è intesa, se ci si comprende con facilità e se il confronto con quella persona non incute soggezione. Non escludo si riesca anche a condividere qualche momento di leggerezza. Provare non esclude automaticamente ogni possibilità di prendere abbagli, ma senz’altro le riduce. I primi a dare conferma che la collaborazione è stata proficua saranno i lettori. La storia potrà sempre piacere o non piacere, quella è e sarà sempre questione di gusti, ma il lettore apprezzerà in ogni caso un testo curato e scorrevole e non lo nasconderà.

Ricordate la protagonista del film Misery non deve morire? Tempo addietro in una conversazione sui social qualcuno ha assimilato la figura di Annie Wilkes a quella dell’editor. In realtà, il tema della storia è la scrittura come compiacimento del pubblico: nel film il rapporto tormentato tra autore e lettore è estremizzato nell’aberrazione di una fan-aguzzina e lo scrittore Paul Sheldon è costretto a compiacerla in tutto per avere l’opportunità di salvarsi.

Il fatto è che prima di tutto l’editor è un lettore e qualche autore annuserà la stessa aria minacciosa di Annie Wilkes, il cui giudizio è temuto e temibile. Ebbene, vorrei tranquillizzare tutti: l’editor professionista oltre a non tenere segregato in casa nessuno – io almeno – non legge per diletto, non si lascia andare al giudizio personale né influenzare dal proprio gusto personale. La valutazione è e deve essere sempre oggettiva, il più possibile. Per una persona competente e preparata è questa la normalità, io stessa ad esempio ho lavorato nella maggior parte dei casi su testi che non avrei mai scelto. Quando leggo in modalità professionale mi chiedo infatti di continuo: perché questo è stato detto così? si potrebbe dire meglio? in che modo?

A prescindere dal proprio obiettivo per molti la scrittura è uno sforzo, per qualcuno addirittura una sofferenza, e pur ritenendo di avere qualcosa da dire non si può essere certi di averla detta nel modo migliore possibile. R. Carver pone la questione con chiarezza nelle sue note sulla scrittura dal titolo Il mestiere di scrivere: «Se non si riesce, dico io, a rendere quel che si scrive al meglio delle nostre possibilità, allora che si scrive a fare?». Ecco che l’editor serve, qualcuno che abbia il distacco necessario, la distanza, per porsi tutte quelle domande al posto dell’autore, con sguardo e mente liberi da ogni legame emotivo con ciò che ha scritto.


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