La notte del santo di Remo Bassini


Impressione #4

Riflettendo sul giallo come genere narrativo, mi sono resa conto di una cosa. Il primo che ho letto è The sign of four di Sir Arthur Conan Doyle in lingua originale, caldamente consigliato dalla mia prof d’inglese al liceo. Da allora è il genere che mi appassiona di più, includendo anche thriller e noir, ma ho sempre scelto autori stranieri.

Michael Connelly, cronista statunitense di nera, è solo uno dei preferiti. Non escludo lo sia perché nei film certi fatti sembrano accadere solo negli Stati Uniti. La loro Costituzione difende il diritto dei cittadini di detenere e portare armi e questo è senz’altro il motivo per cui gli omicidi da arma da fuoco hanno purtroppo una certa incidenza nelle statistiche. Ricercando informazioni in Internet, mi sono soffermata su un articolo del Sole 24 Ore apparso nel 2019 che mi ha davvero impressionato. A partire dallo Small Arms Survey, un rapporto di quasi 10 anni fa, ma a quanto pare tuttora uno dei più accurati del settore, evidenzia, pur conducendo gli Stati Uniti la classifica del numero di omicidi con arma da fuoco con ampio distacco rispetto al seguito, il secondo posto dell’Italia come primo paese del G8 con il possesso di 4-10 milioni di armi da fuoco. A me ha fatto venire i brividi, soprattutto perché sono numeri destinati ad aumentare.

Ultimamente nel mio Olimpo personale ha trovato un suo spazio anche l’enciclopedica Fred Vargas. Nel suo caso l’ambientazione a Parigi ha per me un fascino irresistibile.

Eppure, ho scoperto solo da un anno che anche il giallo nostrano è molto coinvolgente. Il primo che ho letto è stato La notte del santo di Remo Bassini e, devo dire, mi ha conquistato subito. Dopo un prologo necessario, l’attacco è classico con il narratore esterno in terza persona: «Tutto iniziò la notte di san Giovanni Battista, patrono di Torino, tra il 23 e il 24 giugno», ma non avrei mai pensato che l’atmosfera di una città in festa per il santo patrono potesse essere lo scenario ideale di omicidi efferati di cui sembra difficile individuare movente e responsabile. Al primo piano di un edificio vengono rinvenuti i corpi di due studenti universitari con la gola tagliata e la bocca incerottata con del nastro adesivo. Nessuna effrazione né ecchimosi.

Leggendo si coglie una caratteristica peculiare di Bassini: la capacità d’intrecciare reti fitte di persone, di eventi e di luoghi, le cui combinazioni fatali innescano vere e proprie catene criminose di reazioni causa-effetto. Questo è il motivo per cui le indagini non danno tregua. E il ripercorrere all’indietro gli eventi sembra non aver fine, seguendo piste che s’intersecano continuamente sugli indizi lasciati dai colpevoli, vittime della propria umanità contraddittoria.

Tra le pagine di Bassini mi sono imbattuta in personaggi concreti, completi, a tutto tondo, mostrati nella semplicità del loro essere umani. La narrazione lascia spesso spazio alla focalizzazione interna e percepiamo con chiarezza il loro punto di vista. Mi sono anzi chiesta più volte se questi personaggi sono ricordati, più che inventati, e in che misura. Li si incontra anche nei momenti in cui si mostrano in attitudini meno nobili, mi riferisco a “bestemmiare”, “scatarrare”, “sputare”, “scorreggiare”, “pisciare” ecc., che in genere vengono nascoste e che qui invece sono fondamentali. Nel mondo brulicante di Bassini si può ancora bere birra in mutande, mangiare focaccia con la cipolla svaccati sulla panchina. Per questo il suo è un mondo in cui è facile entrare e trovarsi comodi, sentirsi in libertà. E la lettura è ancora più liberatoria nel lasciarsi sorprendere, a meno di una riga di distanza, da parole di sapore inusitato come «ieratico» o «malvezzo». Sono contrasti che stuzzicano la mente con il dubbio di aver colto un’ironia quasi impercettibile in espressioni come «facilitò l’ascolto alzando il tono della voce», per enfatizzare la mediocrità (qui nel senso dantesco del termine) dell’uomo comune che parla.

Come altre figure ben riuscite della fiction d’indagine – penso a Harry Bosh, che è in assoluto il mio preferito – il commissario Pietro Dallavita della sezione omicidi è tanto abile nel suo mestiere, quanto trasandato nella vita, come nei rapporti. Dallavita sfugge completamente, e mi sento di dire per fortuna, al cliché del commissario geniale, infallibile, che tutto vede e tutto sa, è goffo e talvolta poco accorto. Per qualcuno è “Dellavita”, come se della vita fosse in balìa, al punto di non saper come risolvere i suoi casini con le donne e con gli amici. Proprio all’inizio della storia lo vediamo guidare senza meta fino alle luci dell’alba, quando decide di lasciare la moglie guardando il Po. L’alternativa è ammazzarsi, se non fosse per l’indagine sul duplice omicidio che gli viene assegnata al rientro. E, sempre per quel gioco di contrasti in cui Bassini è abile, sarà proprio la sua ruggine con l’ispettore e amico Domenico Tavoletti a portare alla soluzione del caso.


Commenti

  1. Anche Coliandro come sciattezza non scherza. In tv ci sono sempre più personaggi dallavita (eh eh) bislacca, forse specchio di tanti contemporanei.

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    1. Non ho ancora avuto il piacere di conoscerlo. Mi sono resa conto solo da poco che su Rai Play ci sono cose interessanti. Comunque sono d'accordo, l'imperfetto è l'eroe contemporaneo.

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