Non si uccide di martedì di Andrea Molesini
L’autore veneziano Andrea Molesini ha pubblicato già diversi
libri tra romanzi storici e saggi, nonché tradotto poesie di autori stranieri, perciò
se ne parlo in questa rubrica significa che mi sono imbattuta per la prima
volta in una sua opera. L’opera in questione è il suo ultimo romanzo Non si
uccide di martedì e l’impressione è stata del tutto positiva per vari
motivi.
A cominciare dal titolo, già ritrovare in bella mostra
sulla copertina il richiamo a un detto popolare che in casa ho sentito ripetere
spesso – «né di venere né di marte non si sposa e non si parte, né si dà principio all’arte» – mi ha incuriosito,
tant’è che ho fatto qualche indagine per risalire alle sue origini. Si basa
sulla superstizione popolare che contravvenire ai precetti originasse disgrazia
e invita a non intraprendere qualcosa di nuovo
di una certa importanza di martedì o venerdì, i giorni in cui si recitano i
Misteri dolorosi nella terza corona del Rosario, che ricordano la passione e la
morte di Gesù. L’allusione scaramantica ricompare con una nota ancora più
ironica nel parlato di un personaggio, che più avanti nella narrazione a un
certo punto dirà in modo esplicito: «Non sta bene uccidere nel giorno di Marte»
quasi fosse un fatto di costume.
Già da queste poche osservazioni s’intuisce che si
tratta di un romanzo gustoso, in cui l’autore ha saputo amalgamare in modo
sapiente i sapori del noir e della commedia, per restare nell’ambito delle
tradizioni locali, un po’ come nel condimento a base di cipolle delle sarde in saor l’agro della cottura nell’aceto
viene addolcito dall’uva sultanina. Al di là del fatto che ne vado
matta, ho citato questa ricetta di conservazione del pesce dall’antica
tradizione dei pescatori veneziani, per inquadrare la narrazione che si snoda tra
la città lagunare ai tempi di Mussolini e l’isola di Rodi, quando ancora
apparteneva all’Italia. Oltre alla datazione dell’antefatto al 14 settembre
1938, all’inizio della parte Due si legge di voci sull’esilio a Rodi del governatore
del Dodecaneso conte De Vecchi, quadrunviro della marcia su Roma, esponente
dell’ala più moderata del regime fascista, «perché inviso a Starace e Farinacci».
A proposito di De Vecchi, mi è rimasto in mente il passaggio arguto in cui Molesini
ne descrive la graziosa figlia, al confronto della cui bellezza l’aspetto orribile
di De Vecchi lascia intuire che lei possa somigliare piuttosto a un altro padre:
l’espressione «il rospo era cornuto» allude infatti all’ipotetico fattaccio e
allo stesso tempo alla specie di rospo, davvero brutto, esistente in natura.
Nel romanzo tutto ruota attorno alla famiglia di Mebel
Valt, una vedova anticonformista dall’aria «altera e svagata», erede dell’immenso
patrimonio di colui che lei stessa definisce «un farabutto, un bandito». Nell’antefatto
di poche pagine la situazione è già ben definita: ai tavolini del caffè Florian
di piazza San Marco la vecchia signora fa amicizia con Ridolfi, un avvocato malvestito
e professionalmente poco affermato, la cui «aria distinta, vera o presunta,
nasconde una certa propensione al compromesso» e stringe un accordo con lui. L’intreccio
s’innesca durante il viaggio di nozze della nipote di Mebel. La parvenza di una
felicità dorata sotto il sole abbacinante di Rodi è turbata dalla comparsa del
sedicente generale Costantini, consorte di Mebel, che annuncia l’improvvisa scomparsa
della vecchia signora. La trama poi si delinea lasciando emergere le possibili ipotesi
su cause, eventuali moventi e conseguenze entro la parte Uno, alla fine della
quale la situazione è molto chiara: la nipote di Mebel è l’unica erede di una fortuna
che invoglia alla contesa, ed è proprio Ridolfi, in qualità di curatore
testamentario, ad avanzare una proposta ambigua, quasi una minaccia, su una
clausola «molto curiosa, strana se si vuole».
Un aspetto importante che caratterizza la scrittura di
Molesini è un certo sarcasmo, che a volte è vena umoristica a volte satira vera
e propria. È infatti molto abile nel dipingere in modo pittoresco l’opinione
comune a prescindere dal ceto sociale. Emblematico il dialogo tra il generale Costantini e l’avvocato Ridolfi
sul momento storico in cui mentre tutto sembra andare a rotoli, la carta
igienica manca nei vespasiani: «La decadenza di un impero […] incomincia sempre
dalle fogne intasate» dice Costantini e un’Italia così non sembra meritare il
dominio sull’Africa. Ma anche dal livello sociale meno elevato si leva qualche nota
di sarcasmo, come ad esempio da Anita, la serva di Mebel, che reputa gli
avvocati una brutta razza «come i giornalisti, i professori e le zoccole».
Credo che la maggior parte delle persone abbia avuto
modo di vedere come un’eredità risvegli l’interesse di ogni opportunista in
famiglia, anche il più insospettabile. A spartirsi una torta golosa «non tutte
le fette devono avere lo stesso spessore», ma c’è sempre chi vuole quella più
grossa. In questa storia Molesini mette i suoi personaggi in condizione di giocare
il tutto e per tutto in una partita di strategie criminali che un po’ per volta
svelano torbide relazioni familiari. E il finale, tutto veneziano, è
sorprendente, di fatto racchiude tutto il senso del romanzo, offrendo con la
soluzione un primo piano del piatto su cui della torta forse non resteranno neanche
le briciole.
Non si uccide di martedì? Da quando? 🤣
RispondiEliminaDa quando lo ha deciso l'autore per intitolare il suo romanzo.
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