Un antidoto alla superbia
Rispetto ai social, che ci stanno abituando ad
apprezzare contenuti sempre più veloci ed effimeri, e forse anche ad accettare precarietà
e instabilità come nuova normalità, la scelta di comunicare attraverso un blog può
sembrare superata. A me invece piace proprio questo suo aspetto, è tutto
sotto controllo e consultabile in ogni momento. Tra l’altro, a essere sinceri, non
è poi così facile tenerlo aggiornato.
Da un lato ho sempre qualcosa da dire, perché, senza
rendersene conto, i “detrautori” con la loro attività sui social forniscono
quotidianamente materiale utile per le mie riflessioni. Evito con cura di partecipare
alle loro discussioni, perché mi infastidiscono i toni. L’arroganza, la
presunzione, la prevaricazione – d’altronde i superbi hanno un posto nel Purgatorio
– mi tengono a distanza dai social. Il confronto d’idee è un modo rapido ed
efficace per apprendere qualcosa di nuovo purché sia gestito con rispetto. La
maggior parte delle persone invece usa i social non per esprimere opinioni, ma
per imporle. Si vuole prevalere sugli altri non con la forza delle proprie argomentazioni,
ma sulla base della convinzione che gli altri siano perdenti. Spesso non c’è nemmeno
un interesse reale per il post, si commenta solo per sfogare frustrazione.
Proprio ieri, ad esempio, qualcuno ha sostenuto che gli editor seri si troverebbero solo all’interno delle case editrici, ovviamente non a pagamento, perché l’autore di «un’opera d’arte» non deve «pagare», ma «essere pagato» per pubblicare. Sul fatto che la casa editrice debba assumersi il rischio d’impresa sono d’accordo, ma non condivido l’opinione che l’editor freelance non meriti compenso né considerazione come parte di un sistema basato su «facili guadagni e illusioni». In realtà molti editor seri e capaci sono freelance. Inoltre, vista la concorrenza nel settore, i guadagni da lavoro autonomo non sono né facili né importanti, anzi. Infine, indipendentemente dalla qualità del testo – confidando che i requisiti per definirlo opera d’arte siano rigorosi – quando si autopubblica, per rispetto del lettore, una revisione professionale è doverosa, fosse anche solo per la correzione di bozza. Ma capisco che la differenza tra costo e investimento sfugga ai più.
D’altra parte, nonostante la gente viva connessa, è tutt’altro
che facile suscitare l’interesse di nuovi lettori e affezionarli. Il blog è un
contenitore in cui si può dire quello che si vuole quando si vuole, e,
trattandosi di una forma di espressione scritta, in un certo modo il suo autore
diventa editore di sé stesso, un po’ come nell’autopubblicazione. Si respirerà anche una certa aria di libertà, ma non si fa caso alle maggiori
responsabilità che tutto questo presuppone. Ebbene, nel diffondere sui social i
contenuti di ogni nuovo articolo a me sembra quasi di fare una forzatura. È il
genere di post visto di meno. Eppure, dietro ogni articolo c’è dell’impegno. Ma
in un mondo precario e instabile a chi mai interesserà più l’impegno?
In ogni caso, visto che tutti sono sempre alla ricerca
spasmodica di freebie, un blog è, credo, un atto di generosità enorme perché rende disponibili a tutti informazioni, competenze ed esperienze di un
professionista che possono essere utili a chi legge. A chi si è anche complimentato
per la mia costanza, probabilmente alludendo al fatto di pubblicare articoli
che nessuno nota, dico che il tempo dedicato al blog per me non è mai sprecato:
oltre a essere un antidoto efficace alla superbia, mi tiene allenata
nella scrittura e mi permette di raccogliere le idee in modo organizzato.
Insomma, voi se volete leggete, a rischio di trovare qualcosa di utile, altrimenti fate pure a meno, che io non obbligo nessuno.
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