Mal d'editing
In generale si può parlare con serenità dei benefici
dell’editing, dato che a volte fanno anche emergere talenti rari. I primi a
farlo sono gli editor stessi per ovvi motivi. Io però non do mai nulla per
scontato, e credo sia corretto far capire che non sono sempre tutte “rose e
fiori”.
Riccardo Baldinotti è l’autore di L’ambasciatore,
una storia di terrestri che cercano di edificare un nuovo mondo cosmico con
altri popoli simili in altri sistemi planetari simili. Nel racconto il viaggio
astrale si fa percorso nella mente umana, affrontando temi come l’ambiente, il
divario sociale, la guerra e il potere, su cui l’uomo può ancora migliorare rispetto
al passato. Baldinotti, che fin d’ora ringrazio per la preziosa testimonianza, mi
racconta di essersi rivolto a un service editoriale per la revisione del suo
manoscritto, che è stato pubblicato da V. H. London lo scorso fine ottobre.
Fino alle osservazioni su criticità di forma, ritenute ineccepibili, la
collaborazione è stata proficua: il testo è stato corretto in base alle
segnalazioni, addirittura l’ultimo capitolo è stato riscritto e trasformato con
soddisfazione anche dell’autore stesso.
La fase problematica è arrivata con le osservazioni
relative a ciò che più attiene agli obiettivi dell’autore. Per cominciare, la
prescrizione di non affidare la voce a un narratore onnisciente, ritenuto ormai
in disuso, e di focalizzare ogni scena con un solo punto di vista. Molti i
rimandi all’ambientazione non facilmente visualizzabile per carenza di dettagli.
Diversi i suggerimenti di semplificare termini non comuni o desueti e periodi complessi.
Premesso che le situazioni vanno sempre considerate
nel loro contesto, quel che mi preme mettere in evidenza qui è che ci sono
autori che non ritengono di doversi mettere a ragionare con l’editor. Molti scrittori
amano il narratore onnisciente perché trovano congeniale la libertà di
movimento che conferisce. L’autore dovrebbe infatti scegliere la voce che più lo
aiuta a esprimersi meglio. La focalizzazione multipla sembra la soluzione più
facile quando in una scena con più personaggi significativi c’è bisogno di esprimere
pensieri e intenzioni di tutti. L’autore potrebbe semplicemente essere aiutato
a farlo in modo che il testo ne benefici in chiarezza. La ricchezza del
vocabolario o la complessità della sintassi possono anche essere costruttive
per chi legge. A ben vedere da chi scrive qualcosa s’impara sempre, perché può
essere un esempio che il lettore sceglie di seguire o non seguire. Dettagli ambientali
più specifici potrebbero anche non essere così funzionali al racconto,
addirittura superflui. Baldinotti però ha recepito queste osservazioni in modo
non costruttivo per la sua autostima e ha proseguito con l’editing fino a
quando gli è stato possibile. «Ciò richiedeva di scrivere un libro diverso da
quello che volevo» è l’impressione definitiva che ha avuto e lo ha indotto a rinunciare.
Forse avete capito dove voglio arrivare: fino a che
punto è lecito l’intervento nella sfera più intima dell’autore? Riguarda anche
la cifra stilistica, che non si limita alla buona scrittura ma è più pertinente
a come l’autore vede il mondo e lo esprime sulla carta, ciò che lo rende
diverso dagli altri e di conseguenza interessante per il lettore. Qualcosa che mi
sembra abbia molto a che fare con il target dei lettori a cui l’autore si
rivolge e che decreta la sua affermazione. Uno scrittore è tale quando viene
letto, accade anche quando la cerchia di lettori è ristretta, vorrà dire che la
sua scrittura è per pochi. Baldinotti è proprio quel genere di autore che non
scrive a scopo d’intrattenimento e quando dice: «Rinunciare a tutto questo,
secondo me, significa ridurre un romanzo a un prodotto usa-e-getta senza
personalità» capisco che non vuole fare della sua scrittura uno standard accessibile
proprio a tutti.
A un certo punto Baldinotti ammette anche di non aver
cercato con il dovuto impegno la casa editrice più in linea con i propri
contenuti: «L’editor con cui ho lavorato aveva in prospettiva anche questo, ma
non ho continuato la prima fase e, considerato il modo in cui avrei dovuto
cambiare le cose, l’idea di promuovere un libro che non avrei sentito mio mi
risultava indifferente». Ho la sensazione che questa esperienza sia stata negativa
non in senso assoluto, ma per come l’autore l’ha recepita, credo che abbia avuto
un forte impatto sulla sua autostima, cosa piuttosto grave. Baldinotti a un
certo punto ha creduto di non poter ottenere il risultato sperato, perciò ha
preferito non portare a termine il lavoro di revisione, che ha generato in lui più
sconforto che entusiasmo. Dice ancora Baldinotti: «Quanto all’obiettivo del mio
scrivere. È giusto la voglia di dare corpo alla mia fantasia; una fantasia ben
ristretta, un po’ per naturale carenza e un po’ per scarsità di esperienze.
Solo ultimamente mi sono domandato a chi pensassi di comunicare le mie storie
ma, umilmente, devo ammettere di non avere le idee chiare nemmeno in questo.
Tutto ciò in linea con la scarsa mia attenzione introspettiva». Nonostante si
definisca «aspirante autistico», Baldinotti è una persona con cui si può
dialogare serenamente e la sua scrittura è buona, ma si è reso conto di non
aver avuto la capacità di relazionarsi in modo adeguato con l’editor che aveva
scelto.
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