Leggere per scrivere

 

A cercare di capire perché la gente scrive si entra in un dedalo di congetture. Sento parlare spesso, anzi, soprattutto della funzione terapeutica della scrittura, ma con un po’ di buonsenso penso che dovrebbe essere l’analista a prescriverla come terapia. Suppongo si tratti di una forma di espressione più attinente all’introspezione per comprendere i propri pensieri, eventi ed emozioni, che all’immaginazione di storie, di cui normalmente mi occupo. La letteratura invece è invenzione e come tale va considerata. Nel lavoro d’invenzione si usa soprattutto l’immaginazione, ovvero la capacità di produrre un’immagine comprensibile, ma anche la fantasia, la facoltà di passare da una cosa all’altra per somiglianze, vicinanze ecc. attraverso la contiguità e la contingenza in un modo del tutto indipendente dalla volontà di chi inventa. Ho notato che questi due termini vengono spesso considerati perfetti sinonimi, quando in realtà sono due concetti completamente diversi. Io stessa non avevo colto questa differenza sostanziale, finché non ho letto un saggio molto interessante di Giulio Mozzi dal titolo (non) Un corso di scrittura e narrazione, che consiglio a tutti, non solo a chi scrive.

A proposito del collegamento tra scrittura e disagio esistenziale, tempo addietro mi è capitato di leggere anche alcune considerazioni di Sandro Veronesi che mi hanno colpito. Nella sua idea di letteratura come resistenza dell’autore alla sofferenza, il «flusso di merda che gli arriva addosso», è l’approccio alla scrittura che distingue lo scrittore professionista dal dilettante. A suo modo di vedere, scrivere quando si sta male, o addirittura credere di dover approfittare proprio di quel momento per buttare giù qualcosa, perché la scrittura ha una funzione consolatoria, anzi, la sofferenza la nobilita, è da dilettanti. Il professionista scrive dopo aver risolti i problemi, quando il brutto momento è passato. Altrimenti, se le cose vanno bene, se la vita ha smesso di angosciare, si finisce a non scrivere più?

Quando avverto negli autori con cui collaboro una disposizione d’animo che li porta fuori controllo, di solito consiglio di non scrivere perché il risultato rifletterà questa condizione e non soddisferà il lettore né l’autore a posteriori. Lo colgo anche nelle esplicite parole di Mozzi a proposito di Notizia 2010, che si in precedenza s’intitolava Rivendicazione: «Non pubblicai Rivendicazione in Fiction per una quantità di ragioni. E feci bene. La ragione principale era: non avevo un perfetto controllo dei miei nervi. E quindi non avevo un perfetto controllo della mia scrittura» (G. Mozzi, Il male naturale).

Per non rischiare di perdermici, nel dedalo, qui intendo proporre solo uno spunto di riflessione a partire da un assunto. Cito volentieri di nuovo Giulio Mozzi perché in quel saggio esprime concetti fondamentali: «Si narra sempre a Qualcuno. E quel Qualcuno è importante, più importante di noi che raccontiamo. Infatti, se smette di ascoltarci o di leggerci, è come se la nostra storia svanisse. Se voi decidete d’interrompere la lettura di questo libro, questo libro muore». Il punto non è se si scrive per sé o per gli altri, le motivazioni sussistono entrambe, ma percepisco scarsa coscienza della loro complementarità quando scambio opinioni con chi sta ancora cercando la propria voce. Con la crescita autoriale, la consapevolezza rende invece questo concetto più chiaro e accettabile.

Anche l’autore alle prime armi farebbe bene quindi ad abbandonare la convinzione di scrivere unicamente per sé, che sia per sfogo – o prescrizione dell’analista… – o, attenzione, per uno scopo superiore, come il lascito ai posteri o addirittura l’arte, oppure più commerciale, per il mercato o per il pubblico. Insomma, la scrittura non sarebbe un atto solipsistico, come siamo sempre stati abituati a pensare, e m’includo anch’io. Anzi, ora che ne parlo, questa inizia a sembrarmi una visione romantica, una leggenda, un mito. Scrivere è di fatto «un’attività relazionale».

Lo spiega molto bene Mozzi, che prima di esprimersi, nel senso di spremersi fuori (dal latino exprimĕre che significa «premere fuori, spremere»), ovvero scrivere per sé, l’autore deve muovere verso il lettore, ovvero scrivere per gli altri. Per essere un bravo scrittore, leggere molto diventa imprescindibile non tanto per apprendere il più possibile dal punto di vista della tecnica e dello stile, o per trovare ispirazione, essendo la lettura uno stimolo continuo per immaginazione e fantasia. Serve soprattutto per capire la parte del lettore, la più importante della scrittura. Leggendo, lo scrittore impara ad ascoltarsi e a costruire l’esperienza di sé come lettore rispetto a qualcuno che va verso di lui come autore. Deve riuscire a immedesimarsi nel lettore e figurarsi quello che proverà mentre legge la sua scrittura, pur trattandosi di reazioni soggettive, non riconducibili a uno standard, e pur dovendo sempre misurare il rapporto tra quanto deriva dal testo e quanto il lettore mette di suo. Solo una volta compreso questo, l’autore potrà andare a sua volta verso il suo lettore.


Commenti

  1. Io non riesco a scrivere se non sto bene: per avere la speranza che ne valga la pena, devo avere quel minimo di ottimismo di quando sto bene. Inoltre, pur convinto che alla fine l'autore ci mette molto di sé, cerco di scrivere storie valide per il maggior numero di persone.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per il tuo contributo, Riccardo, è così che il messaggio dell'autore arriva.

      Elimina
  2. A prescindere dai ragionamenti di Mozzi, che hanno il tempo che ttovano, secondo me c'è chi nasce per scrivere e chi per andare a caccia o a pesca, con le dovute eccezioni, vedi Hemjngway.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io credo che la predisposizione sia fondamentale, ma non più della preparazione (intesa come studio e applicazione).

      Elimina

Posta un commento

Se hai letto l'articolo lascia un commento, grazie! Anche il tuo contributo è prezioso per rendere questo blog utile a tutti. Ti prego di non inserire link o indirizzi e-mail nel testo del tuo commento, altrimenti sarò costretta a rimuoverlo.
Se vuoi ricevere una notifica via e-mail per la risposta, metti la spunta sulla casella "inviami notifiche".

Post popolari in questo blog

La notte del santo di Remo Bassini

Un antidoto alla superbia