Consapevolissimevolmente
Dopo una pausa piuttosto lunga, approfitto di questo momento di calma tra un passaggio di editing e l’altro per riprendere le attività su blog e social. Non ho postato gli auguri di buone feste, con il canonico bilancio di fine d’anno e i propositi per il nuovo, perché i miei ritmi – per fortuna – sono diversi. Per quanto mi riguarda, io sarei già contenta se quest’anno fosse come il 2024, ma l’augurio che sia migliore lo faccio a tutti.
A proposito di miglioramento, come ripeto spesso, ce n’è sempre margine nella scrittura, ma ottenerlo non è così scontato. Il mestiere dell’editor è basato principalmente sul rapporto che s’instaura con l’autore e l’esito positivo della collaborazione, il risultato professionale, secondo me dipende dall’onestà di quel rapporto. Se c’è affinità nasce in modo spontaneo e l’omogeneità della visione non può che consolidarlo. Ciò che però ne determina il futuro è il grado di consapevolezza. Quando un autore conscio dei limiti della propria scrittura decide di rivolgersi all’editor più adatto alle proprie esigenze, non ho alcun dubbio che, al netto di sorprese da scarsa trasparenza, trarrà profitto dalla collaborazione, perché la sua consapevolezza lo rende pronto ad affrontare la revisione.
Per contro, uno scrittore che non abbia la stessa consapevolezza e decida di affidare la revisione del suo testo a un professionista, con tutta probabilità a un certo punto interromperà la collaborazione e forse lo farà con uno stato d’animo negativo, senza però ammettere alcuna responsabilità nel fallimento. È piuttosto alto il rischio che l’autore sospenda le comunicazioni, senza dare alcun tipo di spiegazione e ignorando del tutto i tentativi di contatto da parte dell’editor (oggi si parlerebbe di ghosting). Sono pronta a scommettere che non si rende neanche conto di quanto l’effetto di questo comportamento sia dannoso anche nei confronti di sé stesso, perché gli consentirà di continuare a credere alla bugia di essere uno scrittore maturo.
Per me tutto questo è spunto di riflessioni quotidiane: esisterà pure il modo più adatto per far capire all’autore che nella sua scrittura c’è bisogno di qualche aggiustamento, oppure è da rivedere interamente. Perciò resto sempre in ascolto e cerco di migliorare ogni giorno la mia modalità d’interazione, purché mi si parli in modo sincero. A dire il vero, ho già affrontato questo tema in un post precedente dal titolo La calzata perfetta a proposito della ricerca dell’editor giusto: dal punto di vista del professionista, lo dico ora qui, si traduce in avvedutezza nell’accettare un incarico. Se riconosco i segnali, evito gli autori che fingono di sapere cosa sia l’editing professionale, quelli che dopo avermi fatto perdere il doppio del tempo su pagine al limite della leggibilità, si volatilizzano con la prima nota a margine. Ebbene, il ruolo mio, non per il carattere che ho ma per la professione dell’editor, è da Grillo Parlante, possibilmente senza essere spiaccicato sul muro (per cortesia!) per colpa di qualche suggerimento “importuno”.
Mi auguro di potermi confrontare sempre con persone consapevoli che possono e vogliono migliorare la propria scrittura. È tempo perso prendere impegni con sedicenti scrittori che si lamentano di non avere lettori, ma non sono disposti a mettere in discussione il proprio lavoro per capire perché. Certo, mi scontro ancora con il pregiudizio che l’editor, più che inutile, sia addirittura deleterio e lo interpreto come opinione di chi non ha avuto un’esperienza positiva, di solito capita quando l’autore non ha valutato bene. Come in tutte le professioni che si basano su competenze specifiche, i pareri sono sempre soggettivi e a volte anche discordanti perché il modo in cui ognuno svolge questa professione, al di là di alcuni principi oggettivi, valori e regole da seguire e applicare, è comunque il prodotto di variabili, come conoscenza, esperienza, sensibilità, intuito, e, certo, anche personalità. Le analisi del testo gratuite servono proprio a questo: a valutare bene. Io continuo a investirci del tempo volentieri, ma a volte, dispiace dirlo, non ricevo nemmeno un ringraziamento pro forma.
Per concludere, dico ai più prevenuti che editare non significa necessariamente “tagliare”, lo si fa solo quando qualcosa nel testo è realmente superfluo, quando non è funzionale alla narrazione. A questo proposito mi viene in mente l’ironia sottile – con una nota di biasimo, che ho trovata divertente – di Cathleen Schine nel dipingere il rapporto di amore-odio tra la scrittrice protagonista del romanzo Le disavventure di Margaret e il suo editor: «Da mangiare non c’era niente. Negli ultimi due giorni aveva pasteggiato solo a pesche sciroppate, torta al cacao e vino. Pensa un po’: Richard era uno che ripuliva il frigo prima di andare via, che faceva l’editing anche al proprio frigo. Niente, nemmeno un fagiolo surgelato». Io l’ho fatto l’errore di lasciare qualcosa nel frigorifero prima di una partenza, e al rientro a nulla è valso tapparmi il naso. Allo stesso modo, ciò che nel testo è inutile rende la lettura non godibile in quel momento: toglierlo senza che poi se ne avverta la mancanza è la riprova. Uno scrittore maturo però forse lo saprebbe.
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