La giusta distanza
Dopo qualche anno, finalmente mi sono presa qualche
giorno di vacanza. Non è solo il fatto di soggiornare in un posto diverso. È
riuscire a, come si dice, staccare la spina. L’editing è un lavoro molto
impegnativo, ma chi non sa in cosa consiste potrebbe avere un’opinione diversa.
Si legge un testo, è vero, ma è più questione di saperlo leggere e di farlo più
volte con un focus ogni volta diverso.
Le letture personali hanno ottime chance di divertire
perché sono letture scelte. Di solito accolgo i suggerimenti di persone che
conosco, solo in casi eccezionali ricorro alla lettura di un estratto per
decidere. A volte mi basta conoscere la collana della casa editrice o l’autore,
oppure essere incuriosita dal titolo o dalla prima di copertina. Nella quarta
comunque trovo sempre elementi sufficienti per capire se il libro è nelle mie
corde. In quel caso leggere sarà con tutta probabilità uno svago, un’attività
ricreativa. Sapendo di potermi concedere il semplice piacere
dell’intrattenimento la mia mente già si predispone al godimento di
quell’esperienza. Potrei al massimo decidere di sospendere la lettura qualora
il libro non si rivelasse all’altezza delle mie aspettative, ma so che per
motivi etici alla fine non lo farò: conoscendo bene il dietro le quinte nutro
sincero rispetto per chi ha il coraggio di affrontare la scrittura di un libro.
Ebbene, provate a pensare di dover leggere lo stesso testo una, due, tre, quattro – cinque! – volte e ogni volta farlo con un approccio diverso per scoprire nuove criticità. Sembra pesante, noioso, anche a me. Soprattutto se il testo non è uno di quelli che sceglierei per trascorrere qualche ora in distensione, se avverto che non funziona per una serie di motivi, se fatico a leggerlo perché non è fluido. Come superare questo limite? È la consapevolezza del ruolo che mi consente di andare oltre le competenze acquisite con la formazione e l’esperienza.
Basilare per svolgere un buon lavoro è la
concentrazione: devo “entrare” nel testo e riuscire a rimanerci per tutto il
tempo necessario, consapevole che altre attività complementari, come ad esempio
la documentazione, possono solo dilatarlo. Quando non si è concentrati anche lo
sciacquone tirato al piano di sopra – lo cito perché dal mio studio lo sento
spesso nell’arco di una giornata – può essere motivo di distrazione, ma ho
capito che ci si lascia distogliere proprio perché non si è nel giusto stato
mentale. Applicarsi al testo in modo intermittente non aiuta ad avere quella
visione d’insieme necessaria per editarlo, che va tenuta come riferimento
costante a mano a mano che si procede. Lo sforzo da fare è analogo a quello
dell’autore che cerca di non perdere mai di vista il suo obiettivo mentre
scrive, solo nella direzione contraria, per appurare se l’obiettivo viene
raggiunto o no. Si tratta insomma di disciplina e costanza.
Anche l’autocontrollo è fondamentale: devo lavorare
sul testo senza lasciarmi influenzare dal mio gusto personale. La tentazione di
esprimere un giudizio su quanto si è letto è piuttosto forte ma va contrastata
sempre. Questo significa lavorare in tensione quasi costante. Un autore può
migliorare grazie alle critiche costruttive e all’approccio proattivo del
proprio editor, ma non per giudizi fine a sé stessi, anche se sono positivi. È
qualcosa che ha molto a che fare con la conoscenza approfondita di sé e dei
propri limiti, utile anche nella vita privata.
Ma l’empatia è imprescindibile: devo comprendere il
testo appieno e a ogni suo livello per capire come valorizzarlo. Questo dipende
in larga parte dal grado di sintonia che si ha con l’autore. Non si tratta solo
di ascolto, ma anche di condivisione di stati d’animo e di obiettivi e quando
l’autore sceglie l’editor giusto viene da sé. È questione di carattere
e per quanto ci si possa impegnare non si può mai cambiare radicalmente.
Tutto questo richiede energie che in certe giornate
stancano più di un lavoro di fatica, senza contare che quando si comincia un
editing non lo si lascia mai un momento. Una questione non risolta mi ronza
nella testa a prescindere da quello che sto facendo, caricare la lavatrice, eseguire
l’ordine dei mici di riempire la ciotola o guardare la mia serie preferita in
TV. Anche quando non si è materialmente sul testo la mente lavora, ne è riprova
il fatto che la mattina spesso mi risveglio con qualche dubbio appianato o
qualche problema nebuloso più chiaramente definito, la cui soluzione a quel
punto diventa facile.
Va da sé che la capacità di capire quando è il momento
di frapporre una giusta distanza tra il proprio cervello e i testi va
assecondata, quel momento possiamo deciderlo solo noi. È inutile pensare che la
vacanza possa far perdere il ritmo, anzi, ai primi segni di stanchezza, quando
sembra di perdere qualche colpo o che nella nostra testa non ci stia più niente,
questa vacanza va fatta, poi si riprenderà con entusiasmo nuovo, mente davvero
fresca e di sicuro voglia di ricominciare. Il filo c’è e si riprende subito: è
la passione per questo mestiere.
È come scrivere un romanzo che si ama scrivere: amore.
RispondiEliminaPerfettamente d'accordo.
EliminaLavoro che non saprei fare: mi faccio subito coinvolgere personalmente, qualunque cosa legga, e così è impossibile mantenere la lucidità del punto di vista. Complimenti.
RispondiEliminaRingrazio per i complimenti. All'inizio, sono sincera, sembrava impossibile anche a me. Certo, la buona predisposizione di partenza mi ha aiutato molto nella pratica e ad acquisire gli "strumenti". Poi ho iniziato a capire come concentrarmi sul lettore.
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