Edizioni "pasticcino"

 


Leggo con interesse anche sui social i contenuti web delle case editrici che gli algoritmi mi propongono quotidianamente. Tuttavia, spesso mi sembra di essere la mia prof d’inglese del liceo, quando apostrofava il peggiore in classifica come “pressappochista”. Dal suo punto di vista lo era chi non solo si accontentava di raggiungere risultati approssimativi, ma aveva anche l’intento di gabbare l’insegnante. Ai poveretti che si applicavano ma, non avendo ordine né metodo, venivano sopraffatti dalla goffaggine, lei riservava l’epiteto affettuoso di “pasticcino”, dimostrando compassione per la debolezza del carattere ancora da formare.

Noto con dispiacere che il pressappochismo, la triste caratteristica della comunicazione sempre più globale e immediata, ha invaso anche un settore professionale che fino a poco tempo fa dell’accuratezza era l’emblema. O almeno questa era l’idea con cui la mia generazione è cresciuta. In quanto a cura del prodotto, il libro, l’editoria è sempre stata uno standard a cui tendere. Siamo stati per molto tempo abituati a pensare che se un testo è stato pubblicato allora è senza errori, o di entità tale da sfuggire all’attenzione della maggioranza dei lettori. Una squadra di editor, redattori, correttori di bozze era sempre pronta a neutralizzare la fallibilità autoriale a suon di segnalazioni.

Ho davvero la sensazione che quei tempi belli siano finiti. L’avvento di internet ha cambiato le dinamiche e spostato l’attenzione. Tuttavia l’intento qui non è dare spiegazioni sul cambiamento dell’editoria, tuttora in atto, ma semplicemente fare una constatazione: nell’editoria gli errori saltano all’occhio tanto nella comunicazione al pubblico attraverso siti web e social, quanto nei libri prodotti.

Temo che questo sia indice del fatto che la cura del testo non è più l’obiettivo primario. Altrimenti per quale motivo una casa editrice sceglierebbe di pubblicare testi con errori più o meno gravi? Sembra quasi che la correzione di bozza non sia più ritenuta necessaria. Sento parlare spesso del taglio dell’editor come costo. È vero, sono molte le case editrici che hanno chiuso i battenti, ma molte nuove realtà sono nate. Perché allora chi sopravvive al turnover non cura i testi? Il sito ufficiale ad esempio è un biglietto da visita, si crea apposta per comunicare al mondo la propria presenza in un mercato. Se poi la mission è fare la differenza nel settore questa cosa mi perplime ancora di più. Non mi si dica che il tempo è nemico della precisione, perché se si vuole fare bene qualcosa il tempo si trova. "Chi lavora sbaglia" è un detto popolare, tutti sbagliamo, anch'io sbaglio, l’errore può capitare, immagino soprattutto all’inizio dell’attività, ma rispetto a chi dimostra la propria professionalità nell’affrettarsi a correggerlo, chi non lo fa è per pigrizia? Menefreghismo? Mancanza di preparazione, esperienza, competenza? Cosa? Per me è qualcosa che se trascurato consapevolmente ha a che fare con la credibilità. Sto pensando che se fossi un autore forse non me la sentirei di affidarmi a una casa editrice che non cura il testo come strumento di comunicazione con il cliente. Penserei che non sarà disposta a farlo neanche con il testo come prodotto destinato alla vendita. E pubblicare un testo curato non è meno importante di pubblicare un testo. O si pubblica e al meglio. O è meglio non pubblicare.

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