Siamo uomini o virgolette?

 


Faccio il verso a Siamo uomini o caporali, il celebre film di Totò del 1955, per lanciare il tema di una riflessione. Lo scopo è far capire che cosa può tenere impegnato il cervello di un’editor curiosa e puntigliosa come me. Io m’incaponisco sulle cose. Non voglia il cielo che m’imbatta nella più insignificante delle questioni che qualcuno per errore o di proposito ha reso abbastanza complessa da drizzarmi le antenne, perché poi ci penso anche di notte. Medito, verifico, ricerco, confronto, analizzo finché non traggo una conclusione soddisfacente. Questo è il mio metodo e non conosco altro modo per trovare un po’ di quiete. Quindi non si tratta di sfruttati e sfruttatori, non c’è prevaricazione né umiliazione qui. Si tratta banalmente di virgolette basse, che molte case editrici utilizzano per segnalare nel testo l’inizio («) e la fine (») di una battuta di dialogo. Queste virgolette sono altrimenti conosciute, ma non saprei dire se più o meno, come virgolette caporali, sergenti/sergentine e francesi. Il nesso logico evidente che ha permesso di rifarsi alla terminologia militare è la loro forma grafica, che in effetti assomiglia molto al grado dell’esercito.

Forse non tutti sanno che ogni casa editrice ha un normario redazionale a cui ogni autore è invitato ad attenersi ai fini della pubblicazione, perché contiene i tratti distintivi che le identificano sul mercato. Questa raccolta di regole in genere si trova pubblicata nel sito web ufficiale della casa editrice. A me capita spesso di consultare i normari per sciogliere dubbi. Ebbene, la sezione riguardante i dialoghi è fondamentale e la maggior parte delle case editrici utilizza le virgolette caporali. Tuttavia, ho avuto modo di notare che, a meno del puro segno grafico o della denominazione “virgolette basse”, che assolve il redattore dall’assumersi la responsabilità della scelta, mi capita di leggere più spesso “i caporali” di “le caporali”.

Dato che non sembrano esserci indicazioni precise sull’uso di una forma a discapito di un’altra, vorrei esprimere la mia preferenza per il più conturbante “le caporali”. Oltre a essere «comprensibile» per il vocabolario Treccani «se si pensa che caporali subisce l’attrazione analogica di virgolette», l’espressione al femminile mi sembra più adatta al concetto di virgolette che comandano in quanto a grado della citazione, laddove “i caporali” mi cala nella più fangosa delle trincee.

Qualcuno, evidentemente con la mia stessa curiosità, ha posto il quesito evidenziando che mentre il Sabatini-Coletti e il Nuovo De Mauro registrano “caporali” riferito alle virgolette come femminile, il Treccani non ne specifica il genere, pur prediligendo nell’uso l’espressione al maschile. Tuttavia è proprio il Treccani, come quasi sempre accade, a fugarmi ogni dubbio sulla possibilità di prediligere un’alternativa a discapito dell’altra, attestando che «nell’uso corrente le due attribuzioni di genere si alternano pacificamente. Del resto, gli unici dizionari della lingua italiana dell’uso, a parte il Vocabolario Treccani on line, che aggiornano annualmente i propri contenuti, cioè lo Zingarelli e il Nuovo Devoto-Oli, assegnano il genere maschile a caporali ‘virgolette basse’».

Nel GDLI (il Grande dizionario della lingua italiana) alla voce “caporale” di sostantivo maschile, corrispondente al primo dei gradi militari, senso figurato incluso, segue anche l’aggettivo, ricorrente in due accezioni:

«Caporale2, agg. Ant. Grave, di capitale importanza.

Bartolomeo da S. C., 28-4-4: Di tutte le ingiustizie niuna è più caporale che quella di coloro, li quali, quando massimamente ingannano, fanno in modo che vogliono parere buoni.

2. Principale, importante.

G. Villani, 12-90: Mandò lettere a tutte le caporali terre d’Italia.»

Un motivo in più per continuare a usare l’espressione al femminile.

Commenti

Post popolari in questo blog

La notte del santo di Remo Bassini

Leggere per scrivere

Un antidoto alla superbia